“Mi rendo conto che, in fondo, alle persone manca tanto essere ascoltate. In questi giorni io non ho fatto altro, e anche se ho fatto fatica a volte perché avrei preferito starmene per conto mio, a conti fatti mi porto a casa quella relazione con gli altri che, per forza di cose, in questi ultimi due anni avevo un po’ perso.”
J. mi guarda sorridente, in questa nostra sessione di ripresa dopo l’estate. E questo suo sguardo più leggero mi colpisce, perché solo poche settimane fa avevamo visto di come, in fondo, fuori del necessario interagire professionale in azienda, non gli interessava dare spazio ad altre occasioni di relazione con gli altri, soprattutto se conviviali.
Per ogni osservazione che gli facevo, emergeva una spiegazione ai suoi occhi assolutamente logica e coerente, che via via mi raccontava di altro: ho diversi fronti sul lavoro che non posso mollare neanche un attimo; ho questo e quest’altro progetto professionale da far partire/iniziare; la mia famiglia ha la priorità; stare con gli altri mi stanca perché mi annoio; non mi fido di chi non viaggia alla mia stessa velocità, ogni volta che l’ho fatto ne ho pagato un prezzo troppo alto.
E proprio questa mancanza di fiducia, alla ripresa del nostro percorso di coaching, è il primo punto che metto di nuovo sul tavolo: cos’è cambiato?
“E’ come se avessi visto per la prima volta che le esigenze degli altri non sono poi così diverse dalle mie. Iniziare un percorso di coaching mi ha mostrato come può ampliarsi la visuale prospettica di una persona quando viene ascoltata e sostenuta. Credo di aver fatto proprio questo, nei giorni scorsi. E non è stato razionale, cioè non è una cosa che ho deciso di fare, l’ho fatta e basta. Ed è stato un po’ come tornare indietro nel tempo, perchè a me è sempre piaciuto più ascoltare che parlare.“
Effetto Rosenthal
Nel 1965, Robert Rosenthal, professore di psicologia sociale ad Harvard, e Lenore Jacobson, maestra elementare di San Francisco, attuano uno studio sull’effetto dell’aspettativa degli insegnanti rispetto al rendimento dei loro alunni. Prendendo probabilmente spunto dalla storia del cavallo Clever Hans, che ai primi del ‘900 si diceva avesse la capacità di risolvere problemi matematici, e dall’osservazione successiva dello psicologo Oskar Pfungst, che evidenziò invece come l’animale tendeva a rispondere prevalentemente in base all’osservazione dei segnali corporei del suo addestratore, Rosenthal e Jacobson si domandarono se l’effetto aspettativa degli insegnanti potesse o meno essere più rilevante di altre caratteristiche dei loro alunni, come la classe frequentata (e quindi l’età), le abilità di partenza, il genere e/o l’appartenenza a una minoranza.
Disinteressandosi del reale risultato del test, scelsero del tutto casualmente un piccolo gruppo di bambini e comunicarono ai loro insegnanti che erano particolarmente intelligenti.
Dopo un anno, poterono verificare che i componenti del gruppo scelto avevano effettivamente raggiunto risultati maggiori rispetto ai loro coetanei, tanto da divenire i migliori della loro classe. E questo fu maggiormente evidente con i bambini delle prime classi, molto probabilmente anche perché, non avendo ancora un curriculum scolastico, gli insegnanti ci si rapportavano con maggiore fiducia e incoraggiamento.
L’influenza positiva, quindi, che questi docenti erano riusciti a trasmettere attraverso una fiducia attiva nelle loro capacità, permise a quei bambini di sentirsi apprezzati e desiderosi di confermare la stima ricevuta.
L’aspettativa e la fiducia nel mondo gifted
Quanto incide in un bambino o in una bambina gifted l’aspettativa degli adulti di riferimento? Tantissimo. Definisce profondamente le traiettorie del loro sviluppo, determinando quelle che vengono identificate come profezie auto avveranti.
Se tu non credi in me, se non credi che posso farcela, se non mi doni lo spazio per fallire e imparare senza giudizio, se non mi aiuti a trovare la leggerezza nella mia ricerca di perfezione.
Se non mi insegni che alzare l’asticella va bene ma è ancora più divertente farlo per gradi e portarsi a casa il saper far succedere dei miracoli uno dopo l’altro oltre i miei limiti.
Se invece mi insegni che devo omologarmi, viaggiare alla velocità degli altri, stare fermo, non fare domande, non interrompere, non annoiarmi mentre aspetto il resto del mondo.
E se mi fai crescere nella credenza che è meglio non dare ascolto alle mie emozioni, alla mia empatia, al mio forte intuito che mi racconta sempre cosa è meglio scegliere per me anche se sembra poco logico, io, alla fine, crederò a te.
E costruirò la percezione di me nel mondo su false convinzioni.
Comincerò a dirmi che pensare diversamente è un problema, e non sempre vale la pena avere idee tanto divergenti e strambe, visto che poi vengo messo o messa da parte in tanti modi.
Mi dirò che il mio intuito non va ascoltato, perché farlo mi rende sempre così diverso e diversa, e io dopo un po’ non ho più voglia di sentirmici attraverso le parole e gli occhi degli altri.
Vivrò una vita in cui, inconsapevole del mio reale potenziale, cercherò sempre di realizzare quella profezia che mi è stata insegnata e che mi distoglie dall’avere fiducia in ciò che sono realmente.
Se apprezzo te, apprezzo anche me
Sfiducia, sospetto, distanza.
Solitudine, chiusura, spesso fatica a reinserirsi nel lavoro, ad uscire di casa per prendere un autobus senza guardare all’altro come ad un nemico per la propria salute.
Sono le sensazioni e le emozioni che mi rimandano alcune delle persone gifted che si stanno rivolgendo a me in questo momento storico così denso e complesso.
E ogni volta, alla base di questo sentire un po’ chiuso, c’è una storia di non riconoscimento, di non reale ascolto, che ha disegnato confini oggi difficili da superare.
Ma, come ci sta ricordando l’immensa Bebe Vio in questi giorni (e con lei gli incredibili atleti delle Olimpiadi e delle paralimpiadi di quest’anno): “Se sembra impossibile, allora si può fare!”
E allora, al di là di questo muro si può scoprire che c’è il potenziale mio e che cambiare visione significa iniziare a vedere pure il tuo.
Che posso cambiare l’idea che ho imparato di me e quindi iniziare a realizzare altre profezie auto avveranti, di quelle che mi fanno sorridere il cuore già solo se ci penso.
E che in questo nuovo viaggio posso essere, senza pensarci troppo, quello stimolo giusto anche per una rinnovata e più ampia prospettiva di te, così magari iniziamo a fidarci attivamente l’uno dell’altro in un modo nuovo, diverso, nostro.
Perché la fiducia attiva, alla fine, è un investimento, che va coltivato passo dopo passo. Ed è anche determinazione, che da arbitraria e auto referenziale, inizia a basarsi su una visione della vita spesso diametralmente opposta a quella avuta fino a ieri.
Una visione in cui io che sono gifted e che ho la mia storia un po’ storta e un po’ ammaccata, posso prenderla così com’è e con i miei talenti, con tutto me, metterla al servizio di un noi.
Credendo per primo, ascoltando per primo, lodando per primo.
«Abbiamo la capacità di trasmettere coraggio e forza agli altri attraverso le parole di incoraggiamento. La lode rincuora le persone, le fa sentire felici, più brillanti e positive. […] Avanziamo con entusiasmo, lodando e applaudendo reciprocamente i nostri sforzi»
Daisaku Ikeda
(Questo articolo nasce da spunti liberamente presi dalla rivista Buddismo e Società – per la pace, la cultura e l’educazione)